Serra solare – serra bioclimatica cos’è e cosa serve sapere

SERRA SOLARE BIOCLIMATICA

Negli ultimi anni si stanno realizzando  un gran numero di serre solari bioclimatiche, non soltanto in Italia ma anche nel resto del mondo. La serra solare infatti è uno spazio che consente di ottenere un maggior risparmio energetico unito alla realizzazione di un ambiente in più nell’abitazione.

 La serra, infatti, deve essere adiacente ad un locale dell’abitazione, avere almeno tre lati vetrati ed essere esposta a sud così da accumulare calore in inverno e trasmetterlo all’abitazione per risparmiare su altre fonti di riscaldamento. L’ambiente che si viene a creare non potrà essere una stanza in cui sostare per lungo tempo come una camera da letto o una cucina, bensì sarà adibita a sala lettura, parte del soggiorno, studiolo, ecc.. mentre il locale a cui essa è adiacente dovrà continuare a beneficiare di areazione ed illuminazione naturali.

Spesso la copertura è anch’essa vetrata, inoltre tutti i materiali della serra bioclimatica devono permettere l’irraggiamento e allo stesso tempo evitare la dispersione termica, perciò si usano vetri ad alta efficienza energetica, PVC, allumino e legno.

Ovviamente come in inverno lo scopo è accumulare il calore, così nel periodo estivo bisogna prevedere delle schermature mobili per evitare il surriscaldamento.

 Una serra bioclimatica è considerata volume tecnico quindi, non influendo sulla cubatura totale dell’immobile, non è tassata . La sua superficie può arrivare fino ad una massimo del 15% della superficie dell’abitazione di cui è struttura accessoria (senza permesso di costruire) o fino al 30% (con il permesso) e affinché essa rispetti gli standard richiesti per il risparmio energetico, bisogna affidarsi ad un professionista del settore.  L’autorizzazione alla realizzazione di una serra bioclimatica, infatti,  è subordinata alla valutazione dell’impatto che la stessa avrà sull’efficienza energetica dell’abitazione o dell’edificio. A tal fine, Il progettista (un professionista abilitato in Certificazione Energetica) dovrà presentare i calcoli di risparmio energetico di cui l’abitazione potrà godere grazie all’apporto della serra solare. Tale risparmio dovrà essere di almeno il 10% del normale consumo energetico richiesto dalla struttura per la climatizzazione invernale degli ambienti.

 Per ciò che concerne la regolamentazione, la ricezione della norma può variare da comune a comune, pertanto è necessario rivolgersi all’ufficio tecnico competente. In linea di massima nel Lazio si fa riferimento alla seguente normativa:

LEGGE REGIONALE 27 Maggio 2008, n. 6 (ESTRATTO)

Disposizioni regionali in materia di architettura sostenibile e di bioedilizia

Art 12… c) serre solari con vincolo di destinazione e, comunque, di dimensioni non superiori al 15% della superficie utile dell’unità abitativa realizzata.

Modificata con:

LEGGE REGIONALE 13 agosto 2011, n. 10  (ESTRATTO)

37. La lettera c), comma 1, dell’art. 12 della legge regionale 27 maggio 2008, n. 6 (Disposizioni regionali in materia di architettura sostenibile e di bioedilizia) e’ sostituita dalla seguente: «c) delle serre solari di dimensioni non superiori al 30 % della superficie utile dell’unita’ abitativa realizzata, costruite sia in aderenza che in adiacenza, con almeno tre lati realizzati a vetro o materiali adatti allo scopo o con una superficie vetrata o di materiale equivalente di congrue dimensioni».

2. I sistemi bioclimatici passivi, come le serre captanti, nonché altri spazi strettamente funzionali al risparmio energetico per la captazione e lo sfruttamento dell’energia solare e il guadagno termico solare negli edifici, non sono computati nel calcolo dei volumi e delle S.U.L. ammissibili purché rispettino le seguenti condizioni:

– dimostrino, attraverso calcoli energetici che il progettista dovrà allegare al progetto, la loro funzione di riduzione del fabbisogno di energia primaria per la climatizzazione invernale di una quantità pari ad almeno il 10%, attraverso lo sfruttamento passivo e/o attivo dell’energia solare;

le dimensioni in pianta non siano superiori al 15% della superficie utile dell’unità immobiliare connessa o dell’unità edilizia oggetto dell’intervento;

– la formazione della serra non deve determinare nuovi locali riscaldati o comunque locali idonei a consentire la presenza continuativa di persone (locali di abitazione permanente o non permanente, luoghi di lavoro, etc.);

i locali retrostanti mantengano il prescritto rapporto di illuminazione e aerazione naturale diretta;

– se dotati di superfici vetrate siano provvisti di opportune schermature e/o dispositivi mobili e rimovibili, per evitare il surriscaldamento estivo;

– il progetto deve valutare il guadagno energetico, tenuto conto dell’irraggiamento solare, calcolato secondo la normativa UNI, su tutta la stagione di riscaldamento. Come guadagno si intende la differenza tra energia dispersa in assenza del sistema bioclimatico e quella dispersa in presenza del sistema stesso;

– nel caso di serre solari, queste devono essere integrate prioritariamente nella facciata esposta nell’angolo compreso tra sud/est e sud/ovest.

Mentre nel resto d’Italia:

  • Abruzzo: Legge 19 agosto, n.16 (B.U.R. 29 Agosto 2009, n.45)
  • Friuli Venezia-Giulia: Legge 11 novembre 2009, n. 19, artt. 16-37-62
  • Lombardia: Legge 21 dicembre 2004, n. 39, art. 4 DELIBERAZIONE X/1216 Seduta del 10/01/2014
  • Marche: Legge 17 giugno 2008, n. 14 art. 8-9-10
  • Piemonte: Legge 28 maggio 2007, n. 13, art. 8-21; Deliberazione Giunta Regionale 4 agosto 2009, n. 45-11967, art. 6
  • Puglia: Legge 10 giugno 2008, n. 13, art. 10-11-12-13
  • Toscana: Legge 3 gennaio 2005, n. 1 art. 37-145-146-147; Dgr Toscana 28 febbraio 2005, n. 322
  • Umbria: Legge 18 febbraio 2004, n. 1 art. 37-3
  • Veneto: Allegato alla Dgr. N. 1781 del 08 novembre 2011

DIFFERENZE TRA SERRA SOLARE BICOLIMATICA, VERANDA E GIARDINO D’INVERNO

La serra solare bioclimatica e la veranda sono entrambe spazi vetrati adiacenti all’edificio, ma soltanto la prima deve rispondere ai requisiti di risparmio energetico per poter ottenere i benefici fiscali e termici ed essere quindi considerata una soluzione di bioedilizia. Inoltre mentre la serra è considerata volume tecnico, la veranda ha funzione prevalentemente abitativa.

La veranda con giardino interno, invece, ha una funzione accessoria.

Le verande per giardini d’inverno, ad esempio, sono considerate tali solo se fungono prevalentemente da riparo per le piante che non sopportano i climi rigidi. Un esempio di questa soluzione è dato dalle verande mobili da giardino, che si smontano durante la stagione estiva.

Consolidamento degli edifici in muratura – interventi

In seguito ai numerosi terremoti che stano colpendo il nostro Paese, ci rendiamo sempre di più conto di quanto siano necessari interventi sul patrimonio edilizio italiano. Ancora una volta questi eventi ci hanno colti impreparati, nonostante sia ormai chiaro da anni che la maggior parte dei nostri edifici sia vulnerabile dal punto di vista sismico. Inoltre la cifra che avrebbe potuto essere spesa a monte per l’adeguamento delle strutture sarebbe stata nettamente inferiore di quella che si spenderà per la ricostruzione e lo smaltimento delle macerie.  Bisogna comunque considerare che in Italia, come in molti altri Paesi, sono presenti edifici realizzati con diverse tipologie strutturali e ciò comporta un’ulteriore difficoltà nei metodi di verifica.

La normativa individua tre categorie di intervento:

  • interventi di adeguamento atti a conseguire i livelli di sicurezza previsti dalle norme
  • interventi di miglioramento atti ad aumentare la sicurezza strutturale esistente, pur senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti dalle norme
  • riparazioni o interventi locali che interessano elementi isolati, e che comunque comportano un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti.

E’ obbligatoria la valutazione della sicurezza ed eventualmente l’adeguamento nei casi di:

  • sopraelevazione
  • ampliamento della costruzione tramite opere connesse alla stessa
  • variazioni di destinazioni d’uso che comportino incrementi dei carichi in fondazione superiori al 10%
  • interventi strutturali che portino ad un organismo diverso dal precedente

Per interventi di miglioramento si intendono quelli che accrescano la resistenza delle strutture esistenti . Nelle zone a rischio sismico bisogna effettuare una valutazione della sicurezza sia per tutte le parti della struttura che potrebbero essere interessate da modifiche di comportamento, sia per la struttura nel suo insieme.

In ultimo gli interventi locali riguardano solo alcune porzioni della costruzione, cosicché il progetto e la valutazione della sicurezza potranno essere riferiti alle sole parti interessate, specificando che tali interventi siano utili ad un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti. La relazione da effettuarsi dovrà inoltre documentare le carenze strutturali riscontrate, specificando se risolte o persistenti.

Per procedere ad interventi di questo tipo c’è sempre un iter da seguire:

un tecnico abilitato dovrà effettuare un sopralluogo con analisi dello stato di fatto dei materiali e della capacità  portante della struttura. L’analisi della struttura pre-intervento dovrà mostrare quali siano le carenze e il livello di azione sismica per il quale essa raggiunge lo SLU (Stato Limite Ultimo) e lo SLE se richiesto (Stato Limite di Esercizio).

Il tecnico dovrà, a questo punto, specificare quale tipo di intervento sia necessario e quali siano tecniche e materiali da utilizzare; successivamente alla verifica della struttura post-intervento con determinazione del livello si azione sismica per la quale viene raggiunto lo SLU ed eventualmente lo SLE.

Nota: lo Stato Limite è una situazione, raggiunta la quale, la struttura o una delle sue parti non può più assolvere alla sua funzione.

Gli Stati Limite Ultimi si riferiscono ai casi di:

  • perdita di equilibrio della struttura o di una sua parte
  • deformazioni eccessive
  • raggiungimento della massima capacità di resistenza della struttura o di parti di essa
  • raggiungimento di meccanismi di collasso nei terreni
  • rottura di membrane
  • instabilità della struttura o di parti di essa

Gli Stati Limite di Esercizio si riferiscono ai casi di:

  • danneggiamenti locali, che possono ridurre la durabilità della struttura
  • spostamenti o deformazioni che possano limitare l’uso della costruzione
  • spostamenti o deformazioni che possano compromettere l’efficienza e l’aspetto di elementi non strutturali, impianti, macchinari,ecc
  • danni per fatica
  • corrosione o degrado dei materiali, in funzione dell’ambiente di esposizione

Alcuni esempi di crolli

– ribaltamento delle facciate o pareti perimetrali, soggette alla spinta della copertura. Questo può succedere quando il grado di ammorsamento (connessione) tra le pareti sia basso o manchino diatoni di collegamento, o per insufficiente incatenamento come nel caso di catene lignee ormai ammalorate.

– flessione fuori piano tra i solai, causato da scarsi o inesistenti collegamenti tra solaio di interpiano e la parete o da muratura scadente;

– rottura di parte della muratura perimetrale dovuta a martellamento delle coperture o spinta delle travi di compluvio o displuvio della stessa.

– rottura delle fasce di piano



Possibili cause dei crolli

I problemi strutturali negli edifici esistenti in muratura possono essere legati a differenti cause:

  • scadenti collegamenti tra le murature; ciò fa si che l’edificio non abbia un comportamento scatolare, ossia d’insieme, e che quindi si innestino dei meccanismi locali.
  • scarsa qualità della tessitura muraria(murature a sacco, assenza di diatoni, forte disomogeneità della tessitura)
  • fatiscenza muraria, o scarsa qualità dei materiali costituenti (malta scadente o troppo magra, mattoni, muratura in ciotoli)
  • vulnerabilità per presenza di indebolimenti nei muri, ad esempio canne fumarie.
  • presenza di pesanti cordoli in c.a. su murature fatiscenti, che quindi pesano sulla struttura
  • edifici addossati non consolidati, per cui uno potrebbe gravare sull’altro
  • irregolarità in pianta o in elevazione o difforme presenza di murature resistenti nelle due direzioni principali. Non avendo la certezza di quale sia la direzione secondo la quale arriverà il terremoto, è sempre bene assicurarsi di avere elementi resistenti sia in una direzione che nell’altra.
  • coperture e solai orditi solo in una direzione e non collegati al piano
  • murature portanti con alta percentuale di bucature e/o aperture sfalsate
  • carenze delle fondazioni: disomogenea natura del terreno, struttura in parte su roccia e in parte su terreno, materiali sabbiosi quasi saturi soggetti a fenomeni di liquefazione, modesta profondità del piano di fondazione.

Interventi di consolidamento e adeguamento sismico edifici in muratura

CUCI/SCUCI

Nei casi in cui ci siano limitate zone lesionate nella muratura, è possibile operare attraverso la rimozione degli elementi lapidei degradati, sostituendoli con elementi sani, senza però interrompere la funzione statica della muratura nel corso dell’operazione. Gli elementi nuovi dovranno avere caratteristiche geometriche e meccaniche simili agli originali.  Questo tipo di intervento è realizzabile solo per murature che abbiano una buona qualità e regolarità.

INSERIMENTO DI CORDOLI

Vengono inseriti dei cordoli con funzione strutturale a livello di piano e in sommità, realizzati in muratura armata o in cemento armato. Si usano nei casi in cui i collegamenti tra pareti o tra pareti e orizzontamenti siano poco efficaci. Questa operazione favorisce il comportamento scatolare dell’edificio, prevenendo la formazione di meccanismi locali.

TIRANTATURE METALLICHE

L’intervento comporta l’inserimento di elementi metallici ancorati alle murature, al fine di garantire un comportamento monolitico dell’edificio. I tiranti possono essere inseriti sia all’interno che all’esterno delle pareti. Questa operazione favorisce la connessione tra murature ed è utilizzabile nei casi in cui i collegamenti tra le murature o tra pareti e solai siano inadeguati.

INIEZIONI ARMATE

Si inseriscono armature all’interno della muratura tramite fori successivamente cementati con miscele leganti per iniezioni. Si usa maggiormente per le zone d’angolo, per il ricongiungimento di parti lesionate o per l’ammorsamento di murature ortogonali. Questo metodo incrementa resistenza e duttilità della muratura stessa.

INTONACO ARMATO

Vengono realizzate delle lastre di intonaco armato (da una rete metallica) in aderenza alla superficie della parete e successivamente rese solidali con essa attraverso tiranti in acciaio. E’ semplice da installare e offre elevate prestazioni meccaniche e un limitato spessore. Si usa per rinforzo di solai, consolidamento di volte, di manti stradali, per ancoraggi nelle murature con un avanzato stato di degrado.

CERCHIATURA DELLE APERTUIRE

L’intervento consiste nell’inserimento di telai in acciaio o cemento armato all’interno delle bucature e in perfetto contatto con la muratura esistente. Si utilizza questo accorgimento nel caso di insufficiente resistenza strutturale, ma è da ricordare che apporta un limitato incremento della resistenza della struttura.

INIEZIONI DI MISCELE LEGANTI

Viene fatta penetrare una miscela legante in pressione o per colo nei vuoti presenti nella muratura, in modo da migliorare le caratteristiche meccaniche del paramento murario. È fondamentale che vengano prima effettuati degli studi sulla preesistenza in maniera da scegliere la miscela più idonea, poiché deve garantire una compatibilità chimico-fisico-meccanica tra gli elementi. È un metodo utile nel caso di lesioni diffuse e per murature che presentino vuoti interni e buone caratteristiche meccaniche degli inerti.

SISTEMA FRP

Il termine FRP (Fiber Reinforced Polymer) sta ad indicare un materiale polimerico fibrorinforzato. Gli FRP sono materiali costituiti da fibre di rinforzo immerse in una matrice polimerica.

 Nei compositi fibrorinforzati le fibre svolgono il ruolo di elementi portanti sia in termini di resistenza che di rigidezza, mentre la matrice, oltre a proteggere le fibre, funge da elemento di trasferimento degli sforzi tra le fibre e tra queste ultime e l’elemento strutturale a cui il composito è stato applicato.

La caratteristica peculiare dei compositi strutturali è quella di fornire prestazioni meccaniche migliori di quelle che sarebbero fornite dalle singole fasi componenti. Nei compositi a matrice polimerica, la matrice è generalmente a base di resine epossidiche; per miscelazione con un opportuno reagente esse polimerizzano (reticolano) fino a diventare un materiale solido vetroso. I rinforzi possono essere costituiti da: fibre di carbonio, di vetro, di basalto e fibre metalliche.
I materiali FRP grazie all’estrema leggerezza, vengono messi in opera senza l’ausilio di particolari attrezzature e macchinari da un numero limitato di operatori, in tempi estremamente brevi e, spesso, senza che risulti necessario interrompere l’esercizio della struttura.

SISTEMA CAM

Il sistema CAM è la Cucitura armata Attiva della Muratura e consiste in un impacchettamento della stessa con nastri di acciaio inox disposti sia in direzione orizzontale che verticale e passanti attraverso lo spessore murario per poi essere richiusi su loro stessi. Questo tipo di operazione aiuta a prevenire la disgregazione della tessitura muraria ed è adatto per una messa in sicurezza temporanea per la sua velocità di applicazione.

INTERVENTI SULLE FONDAZIONI

Per migliorare le prestazioni delle fondazioni, queste possono essere allargate mediante cordoli in cemento armato o una platea armata. L’intervento deve assicurare che le nuove fondazioni collaborino con le vecchie ottenendo un corpo monolitico che diffonda le tensioni in modo omogeneo.

Deve essere realizzato un collegamento rigido, come travi in c.a., in grado di trasferire parte dei carichi provenienti dalla sovrastruttura ai nuovi elementi.

In altri casi si può intervenire sul consolidamento dei terreni di fondazione mediante iniezioni di miscele cementizie, resine, o altre sostanze chimiche. 

Un ultimo tipo di intervento è l’inserimento di sottofondazioni profonde (micropali, pali radice) nel caso di cedimenti che interessino singole porzioni di fabbricato, l’intervento può essere effettuato anche limitatamente alle porzioni interessate, purché omogenee dal punto di vista delle problematiche fondali. Si dovrà in generale prevedere un’idonea struttura di collegamento tra micropali e muratura esistente (ad es. un cordolo armato rigidamente connesso alla muratura).

Recupero acque piovane- risparmio idrico

Recupero delle acque meteoriche – Quando Conviene un Sistema di Recupero Acqua Piovana

L’acqua è un bene prezioso, fondamentale per la nostra esistenza ma, purtroppo, non rappresenta un patrimonio inesauribile.  In Italia la maggioranza dei prelievi idrici è assorbita in prima istanza dall’agricoltura e successivamente anche dal consumo umano e dall’industria.

I cambiamenti climatici e l’uso non sostenibile delle risorse naturali da parte dell’uomo, pongono il problema dell’acqua in termini sia qualitativi che quantitativi. Inoltre nei mesi estivi alcune regioni si trovano a dover fronteggiare il problema della siccità.

Le risorse idriche naturali stanno cominciando a scarseggiare, sia per via del cambiamento climatico globale sia per il comportamento irresponsabile dell’uomo, infatti i consumi superano la capacità naturale di rinnovo di questa risorsa, alimentata dalle precipitazioni.

Al momento gran parte delle abitazioni prevede un sistema unico per la distribuzione ai vari dispositivi di casa, indirizzando acqua potabile anche ad usi che invece potrebbero usufruire più semplicemente di un’acqua chiarificata e inodore.

Questo comporta un enorme spreco di acqua potabile, basti considerare che il carico di una vecchia lavastoviglie va dai 40 ai 50 litri (quelle di classe A riducono questo valore), una semplice doccia comporta un uso di 50-90 litri e solo lo scarico del wc può arrivare a 3-16 litri.

Dunque il recupero, il trattamento e il riuso dell’acqua piovana (ed eventualmente delle acque reflue) costituisce, quindi, una soluzione per ridurre sia il consumo di acqua potabile, sia la quantità di scarichi in fognatura.

Si potrebbe così limitare l’impiego dell’acqua potabile ad usi come: igiene personale, cucina alimentare e lavastoviglie ed utilizzare invece l’acqua piovana per: lavatrice, pulizie della casa, giardinaggio e scarico del wc. Inoltre l’acqua piovana è particolarmente indicata per questi impieghi, poiché non favorisce la formazione di calcare, quindi non danneggia wc e lavatrice, e favorisce un assorbimento dei minerali per il terreno.

E’ importante, però, considerare che alberi con semi e foglie possono ostruire il sistema di convoglio delle grondaie mentre le radici potrebbero danneggiare il sistema interrato. L’ideale è un terreno compatto che riesca ad evitare eventuali crepe.

COME FUNZIONA/ TIPOLOGIE

In linea generale l’impianto consiste di un serbatoio ad installazione interrata con tubazioni di ingresso dell’acqua e una elettropompa sommersa per il rilancio in pressione delle acque accumulate.

L’acqua meteorica viene, quindi, raccolta dalle grondaie e, tramite un condotto, convogliata all’interno del serbatoio di stoccaggio. Qui c’è un filtro inclinato, che separando l’acqua dai residui convoglia questi ultimi verso lo scarico. Invece l’aspirazione della stessa avviene attraverso un galleggiante posto 15 cm sotto il livello in modo da pescare l’acqua più pura.

In media i serbatoi hanno dimensioni che variano dai 170 ai 240 cm in altezza e da 200 a 280 cm in larghezza, così da poter accumulare dai 3.000 ai 10.000 litri di acqua. Ovviamente è sempre previsto un indicatore di “troppo pieno”. La maggior parte dei sistemi sono dotati di centralina con quadro elettrico che permette di controllare lìimpianto dall’interno dell’abitazione e comandare l’afflusso dell’acqua potabile quando si esaurisce la riserva d’acqua piovana nel serbatoio.

Esistono, però, varie tipologie di impianti per il recupero e il riutilizzo dell’acqua piovana, da poter installare:

1)  impianti per il solo uso irriguo, permettono:

irrigazione di aree verdi,

lavaggio di autoveicoli,

pulizia di aree cortilizie.

Componenti: vasca di accumulo, filtro e centralina elettronica o pompa autoadescante con quadro elettrico.

2)  impianti per uso irriguo e domestico, permettono:

irrigazione di aree verdi,

lavaggio di autoveicoli,

pulizia di aree cortilizie,

cassette wc.

Componenti: vasca di accumulo, filtro a cestello, centralina elettronica, filtro multistadio.

3)  impianti per uso irriguo e domestico, permettono:

irrigazione di aree verdi,

lavaggio di autoveicoli,

pulizia di aree cortilizie,

cassette wc,

lavaggio del bucato.

Componenti: vasca di accumulo, filtro a cestello, centralina elettronica, filtro multistadio e debatterizzatore.

Normalmente un impianto del genere ha bisogno di manutenzione circa una volta all’anno, poiché c’è la necessità di: pulire i filtri, il fondo della cisterna (asportando eventuali sedimenti) e verificare il corretto funzionamento di tutti i componenti.

COSTI

Un sistema di recupero dell’acqua piovana può essere installato sia per abitazioni private che per spazi pubblici, riuscendo a risparmiare fino al 50% del consumo di acqua potabile.

Compresa l’installazione  i costi oscillano tra i 2000 e i 6000 euro, in base alla grandezza e tipologia del serbatoio e dell’impianto stesso.

NORMATIVA E DIMENSIONAMENTO

La principale norma riguardante il recupero di acqua piovana è la Norma Tedesca DIN 1989 “Impianti per l’utilizzo dell’acqua piovana” – riferimento per dimensionamento e progettazione di tali impianti.

La norma DIN 1989 è divisa in quattro sezioni:

  1. Fornisce indicazioni sulla progettazione, installazione e manutenzione dell’impianto. La manutenzione deve essere il più possibile semplice e deve essere appurato che l’acqua potabile non venga in alcun modo a contatto con quella piovana.
  2. È la sezione dedicata ai filtri, ne fornisce una classificazione con criteri di verifica dell’efficienza.
  3. Riguarda i serbatoi: materiali di realizzazione, condizioni di installazione, verifiche da soddisfare.
  4. Riguarda gli accessori per la conduzione ed il monitoraggio dell’impianto.

Per determinare le giuste dimensioni del serbatoio di accumulo, bisogna mettere a confronto la disponibilità di acque in termini di piogge con il consumo in relazione al numero di abitanti.

La resa dell’acqua piovana è data dalla precipitazione media annua (in Italia la media è 990lt/mq annui, di cui 11200 mm/anno al nord e 949mm/anno al sud) e dalla tipologia e dimensione della superficie preposta al raccoglimento. Il fabbisogno annuale di acqua piovana, invece, dipende dal numero di persone e dal tipo di abitazione (ad esempio dal numero di wc, lavatrici e superficie del prato da innaffiare).

Dunque l’afflusso annuo di acqua piovana deve essere superiore al fabbisogno, ma in genere per il calcolo della capacità della vasca di accumulo si ritiene utile considerare il valore minore tra i due.

Pertanto installando un impianto del genere si avrà un risparmio idrico ed economico, si eviterà il sovraccarico della rete fognaria e si aumenterà l’efficienza dei depuratori per minore diluzione dei liquami da trattare, permettendo maggiore efficacia della fase biologica di depurazione.

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Illuminotecnica (parte2)

Articolo redatto da Arch. F.Di Mario per Eudomia Mag

Disporre di una adeguata illuminazione negli ambienti in cui si vive o si lavora, è utile non solo da un punto di vista estetico ma soprattutto per la salute, poiché da un cattivo uso di essa possono risultare fenomeni di abbagliamento, di sforzo eccessivo della vista (astenopia) o si possono assumere posizioni sbagliate per ovviare alle problematiche del riflesso.  Per ottenere una buona illuminazione oltre a conoscere le caratteristiche delle sorgenti luminose  (vedi articolo illuminotecnica 1) è bene anche fare attenzione ad altri accorgimenti come la scelta degli apparecchi illuminanti e i valori di illuminamento in lux per i vari ambienti e superfici.

GLI APPARECCHI ILLUMINANTI, Gli apparecchi illuminanti svolgono varie funzioni:  – controllo e modifica del flusso luminoso emesso dalla lampada, – funzione estetica, – connessione della lampada all’alimentazione, – protezione della lampada da urti e vibrazioni e dal contatto con agenti esterni (per solidi e liquidi, è indicato con grado di protezione IP), – protezione dell’utilizzatore da contatti sotto tensione o a elevata temperatura

CONTROLLO DEL FLUSSO LUMINOSO, Per quanto riguarda il controllo del flusso luminoso, esso può essere “schermato, per evitare abbagliamento ed ombre troppo marcate, oppure “distribuito” per correggere il solido fotometrico della lampada, ossia  “la forma” del fascio luminoso che si genera da essa.  La schermatura viene realizzata con pannelli a superfici sfaccettate o opaline, griglie a nido d’ape o alette paraluce; invece la distribuzione del flusso luminoso si può realizzare a mezzo di riflettori, rifrattori, diffusori.

I riflettori servono a concentrare l’energia luminosa utilizzando materiali con elevato fattore di riflessione come vetro argentato o alluminio lucidato; possono generare fasci dalle forme simmetriche o anche asimmetriche e si dividono in:  – riflettori a fascio concentrato (fascio tra 20° e 40°), – riflettori a fascio largo (fascio con ampiezza maggiore di 40°), – riflettori a fascio asimmetrico.  In genere questi apparecchi hanno un rendimento del 70-90%.

I rifrattori consentono il controllo direzionale dell’emissione luminosa evitando così pericoli di abbagliamento. Si utilizzano vetri, resine acriliche sagomati in piccoli prismi o coni che permettono la diffusione della luce in tutte le direzioni. Il rendimento è del 60-70%.

I diffusori riducono la luminanza della sorgente aumentandone la dimensione apparente. Tale effetto è realizzato con schermature di vetro smerigliato, policarbonati, vetro e carta.

“Rendimento luminoso” = è il rapporto tra il flusso luminoso che esce dall’apparecchio e il flusso emesso dalla sorgente (la lampadina).  Bisogna infatti considerare che tutti gli apparecchi illuminanti contribuiscono a diminuire, anche se in minima parte, la quantità di luce emessa dalla sorgente (lampadina).

ILLUMINAMENTO, L’illuminamento è una grandezza fotometrica risultato del rapporto tra il flusso luminoso (misurato in lumen) emesso da una sorgente e la superficie dell’oggetto illuminato; è quindi riferita all’oggetto illuminato e non alla sorgente.

Gli illuminamenti necessari per i vari ambienti sono descritti dalle normative in materia (ad esempio EN 12464 «Illuminazione di posti di lavoro»).

ABBAGLIAMENTO, L’abbagliamento può essere diretto o riflesso. L’abbagliamento diretto è in genere causato da apparecchi non schermati o superfici particolarmente lucide. L’abbagliamento riflesso invecepuò essere dato da superfici riflettenti o apparecchi posizionati male. In entrambi i casi l’effetto sulle persone consiste in un calo della concentrazione, una maggiore stanchezza e disturbi agli occhi. 

Fatte queste premesse sarà più semplice capire quali caratteristiche considerare nella scelta di un apparecchio illuminante per un dato ambiente.

PROGETTO DI ILLUMINAZIONE – esempio, Per prima cosa sarà opportuno valutare quale sia la tipologia dell’ambiente e, quindi, l’illuminamento medio consigliato per esso. Ecco alcuni valori di riferimento che si possono utilizzare per una abitazione privata:

Per capire meglio, immaginiamo di dover illuminare questo appartamento: (Il seguente progetto è di massima)

Per prima cosa bisogna calcolare quale sia il flusso luminoso di cui necessita ogni stanza, in base alle dimensioni in metri quadri e alla tabella precedente dei lux consigliati.

 Questo ci aiuterà, una volta deciso l’apparecchio, a scegliere la giusta sorgente luminosa in base alle caratteristiche riportate sulla confezione (tipologia di sorgente, lx, watt, ecc…)

 ILLUMINAZIONE CAMERA DA LETTO MATRIMONIALE

_ILLUMINAZIONE GENERALE; Abbiamo stabilito con un semplice calcolo che un apparecchio che debba illuminare tutta la stanza, necessiterà di una sorgente con flusso luminoso di circa 1400 lumen.  Ma ora bisogna scegliere un portalampada  idoneo, che non causi abbagliamento e che diffonda la luce in maniera omogenea, al fine di creare un ambiente rilassante.  Spesso per questo scopo vengono utilizzati i diffusori, proprio perché la sorgente luminosa è schermata e, indirizzando la luce verso il soffitto, sfruttano maggiormente il fenomeno della riflessione. In questo caso è auspicabile un soffitto chiaro. Si può ipotizzare un apparecchio  a sospensione, montato in posizione centrale, ad esempio un diffusore in policarbonato serigrafato come quello di Luceplan.

_ILLUMINAZIONE LOCALIZZATA, Nelle camere da letto è sempre utile avere anche un’illuminazione localizzata, possibilmente vicino al letto e davanti l’armadio, per scegliere gli abiti. Per quanto riguarda i punti luce da posizionare davanti l’armadio, questi possono essere dei semplici incassi (spesso impropriamente chiamati “faretti”) da installare in una eventuale porzione di controsoffitto. Per gli apparecchi da posizionare vicino ai lati del letto, ci si può sbizzarrire tra innumerevoli tipi e forme dal design più vario. Ad esempio le lampade a parete “Laser Cube” di Studio Italia Design.

ILLUMINAZIONE BAGNO

_ILLUMINAZIONE GENERALE, Una sorgente luminosa per il nostro bagno di 4,77 mq dovrà produrre circa 500lm, ovviamente non è detto che la sorgente debba necessariamente essere singola, potrebbero anche essere due da posizionare in punti strategici.   Potremmo ad esempio utilizzare lo “Starpoint” della Erco, un apparecchio da incasso nel soffitto, che monta led con una potenza di 8w, un flusso di 600 lm (ne basterebbe dunque uno solo) e distribuisce la luce in modalità “flood” o “wide flood”.

_ILLUMINAZIONE LOCALIZZATA

SPECCHIO, Di fronte o ai lati dello specchio è bene installare una sorgente che abbia una buona Resa Cromatica, in particolare che possegga lunghezze d’onda relative alle tonalità del rosso, più adatte per la pelle del viso. E’ consigliabile quindi una alogena e non una fluorescente.  Inoltre l’apparecchio deve far si che la sorgente non abbagli la persona che si specchia. Un classico apparecchio da parete rivolto verso il basso può risolvere questo problema. L’apparecchio dovrà essere almeno protetto contro gli spruzzi d’acqua (IP44).

NOTA: DISTRIBUZIONE DELLA LUCE ,Gli apparecchi possono distribuire la luce in modi diversi, a seconda della distribuzione (ampiezza e forma) del fascio luminoso (tecnicamente si fa riferimento al “solido fotometrico”): – narrow spot (fascio molto stretto), – spot (fascio stretto circa 15-20°), – flood (fascio largo circa 40 -50°), – wide flood ,– oval flood, – wallwash

DOCCIA   , Se si desidera una illuminazione anche all’interno della doccia, soprattutto se questa è più buia perché realizzata parte in muratura, bisogna fare attenzione che l’apparecchio sia protetto contro i getti d’acqua (tenuta stagna) e quindi prendere come riferimento l’indice di protezione IP65.

ILLUMINAZIONE SOGGIORNO, Nel soggiorno può essere interessante creare dei giochi di luce, magari realizzando dei tagli nei  controsoffitti, entro cui inserire delle strisce led, come in questi progetti di Essenzialed:

Illuminotecnica

Articolo redatto da Arch.F.Di Mario per Eudomia Mag

Quando le giornate cominciano ad accorciarsi, aumenta la necessità di ricorrere all’illuminazione artificiale, ma questa non sempre è utilizzata nel migliore dei modi.  Per sfruttare a pieno le sorgenti luminose artificiali sia dal punto di vista dei consumi che dell’effettiva resa, ci sono piccoli accorgimenti e conoscenze su cui fare affidamento.  Ecco gli aspetti fondamentali da considerare:

FLUSSO LUMINOSO , Quantità di luce erogata per unità di tempo, misurata in lumen [lm].

POTENZA ELETTRICA, Si esprime in Watt ed indica fondamentalmente il consumo di una sorgente.

EFFICIENZA LUMINOSA, Espressa in lumen/watt [lm/W] indica il costo della trasformazione della potenza elettrica in potenza luminosa. Questo dato è molto importante per capire la reale efficienza di una sorgente.

Ad esempio una vecchia lampada ad incandescenza consumando 100W emetteva un flusso luminoso di circa 1350 lm, quindi la sua efficienza luminosa era di 13,5 lm/W.  

Una fluorescente compatta (spesso chiamata lampada a risparmio energetico) con 23 W emette 1500 lm circa, quindi una efficienza luminosa di 65 lm/W. Ciò significa che per avere più luce in un ambiente non bisogna guardare solo la potenza [W] ma soprattutto il flusso emesso [lm], Inoltre se si vuole risparmiare bisogna considerare l’efficienza luminosa e non solo il wattaggio.

DURATA MEDIA (vita della sorgente) Numero di ore di funzionamento.

TEMPERATURA DI COLORE  Si esprime in gradi Kelvin ed è un parametro impiegato per individuare il colore della luce di una sorgente luminosa. La temperatura di colore indica il colore della luce emessa, ma attenzione: non dice nulla sulla sua capacità di rendere i colori degli oggetti che essa colpisce!

Le sorgenti luminose sono divise principalmente in tre gruppi:          – T < 3300 K = colore bianco caldo, – 3300 < T < 5300 = colore bianco neutro, – T > 5300 K = colore bianco freddo

Per fare un confronto si può ricordare che la T di colore della Luna è 4100K, quella del sole in estate a mezzogiorno è 5300-5880K, quella del cielo sereno va da 10.000K a 25.000 K.

INDICE DI RESA CROMATICA  (Ra) Esprime l’effetto prodotto da una sorgente luminosa sull’aspetto cromatico di un oggetto. Una superficie appare di un determinato colore perché riflette le lunghezze d’onda relative a quel colore mentre assorbe le altre. Quindi se nello spettro di emissione della sorgente incidente non ci sono le lunghezze d’onda del materiale osservato, il suo colore risulterà alterato.  In altre parole, è bene considerare che cosa bisogna illuminare prima di scegliere la lampada: ad esempio se si vuole illuminare un viso davanti allo specchio di un bagno, o la carne di una macelleria, o un mobile di colore rosso,  non è il caso di acquistare una sorgente fluorescente perché questa nel suo spettro non ha le lunghezze d’onda relative alla suddetta tonalità. Potrebbe essere più appropriata una alogena, che ha infatti una resa cromatica pari a 100 (cioè il massimo). Per chiarezza, ecco a confronto gli spettri di una sorgente fluorescente e di una alogena: si noti come nella fluorescente non siano presenti lunghezze d’onda all’altezza dei 700nm (circa).

Immaginiamo ora di dover acquistare la sorgente luminosa in negozio, ecco un esempio di lettura delle prime specifiche tecniche:

TIPOLOGIA DELLE SORGENTI LUMINOSE  (classificazione delle lampade),    Principalmente le sorgenti luminose si dividono in sorgenti a materiali solidi e sorgenti a materiali aeriformi (gas e vapori). Innanzitutto sono diversi i principi di funzionamento: le sorgenti a scarica richiedono un sistema di apparecchiature  ausiliarie per essere innescate e alimentate, mentre le sorgenti a incandescenza si inseriscono in impianti di alimentazione più semplici, seppure alcuni sottotipi abbiano dispositivi elettromagnetici o elettronici di alimentazione o regolatori del flusso. Qui di seguito vediamo uno schema generale di classificazione delle lampade:

LAMPADE A INCANDESCENZA (A FILAMENTO), Le lampade a filamento di tungsteno ormai non sono più in circolazione, ma erano utilizzate maggiormente in ambienti interni per via della loro tonalità di luce calda (circa 2750K) e la buona resa cromatica (pari a 100). Questa tipologia di sorgenti è sparita anche per l’elevato consumo energetico a fronte, quindi, di una bassa efficienza luminosa, una ridotta durata di vita (circa 1000 ore) ed alte emissioni termiche.

LAMPADE A CICLO DI ALOGENI, Agli inizi degli anni sessanta si scoprì che  introducendo nell’ampolla vuota, insieme al gas inerte Argon, una miscela di sostanze alogene (iodio o bromo) si otteneva un incremento dell’efficienza luminosa, della qualità dell’emissione e della durata della lampada.  Le alogene alimentate a 230V possono essere tubolari a doppio attacco o anche con attacco a vite E27, quest’ultimo tipo possiede un doppio involucro trasparente: il primo al quarzo contenente il filamento con gli alogeni, il secondo esterno in vetro duro al borosilicato con funzioni di protezione e a temperatura inferiore rispetto a quella del bulbo interno. Tra i due involucri si ricava il vuoto.  È bene ricordare che insieme alle radiazioni infrarosse le alogene emettono una piccola quantità di radiazioni ultraviolette (UV), che potrebbero arrecare danni ad alcuni tipi di materiali, di fatti si tende a non utilizzarle per illuminare quadri.

LAMPADE ALOGENE PAR, Sono lampade con ottica incorporata in vetro pressato e rivestito sulla parte interna in ossido di alluminio per riflettere i raggi luminosi.  Queste sorgenti a tensione di rete (230V), sono disponibili con attacco E27, E14  e GU10 ed offrono una barriera agli UV e tutti i vantaggi delle alogene:  – buona qualità della luce (resa cromatica 100),  – durata (2000 ore) – efficienza   – temperatura di colore 2900 K, circa. – accensione e riaccensione istantanee

LAMPADE ALOGENE A BASSISSIMA TENSIONE, La bassissima tensione permette la costruzione di lampade con filamenti di maggior spessore e più corti, così da avere maggiore robustezza, un incremento della durata media ed ingombri molto contenuti. Inoltre si ha meno dispersione di energia termica, quindi maggiore efficienza luminosa.  Queste lampade richiedono un trasformatore elettronico.  – buona qualità della luce (resa cromatica 100),  – durata (2000-4000 ore) – efficienza   – temperatura di colore 3000-3200 K, circa. – accensione e riaccensione istantanee

LED (LIGH EMITTING DIODE), I LED sono basati su un diverso meccanismo fisico di generazione della radiazione luminosa: in un semiconduttore costituito da due regioni a diverso drogaggio, l’applicazione di una tensione diretta favorisce la ricombinazione di elettroni e lacune e l’emissione di fotoni. I vantaggi sono: – elevata efficienza  – elevata robustezza – vita media molto elevata (50.000-90.000 ore) – dimensioni ridotte  – basso consumo.        L’efficienza luminosa varia in funzione del colore (giallo 30lm/W, bianco 25lm/W) ma l’emissione si riduce con l’aumento della temperatura.  Ormai i led sono utilizzati sia in strisce sia all’interno di corpi che prendono il posto delle vecchie lampadine. Gli unici svantaggi sono:  la resa cromatica non è ottimale, la temperatura di colore può dipendere dall’angolo di vista ed è necessario un trasformatore.

LAMPADE FLUORESCENTI, Per fluorescenza si intende la proprietà di un materiale di emettere luce quando viene eccitato da radiazioni ultraviolette. La sua luminescenza cessa al venir meno dell’azione eccitatrice esercitata dalle radiazioni.  Il tubo di scarica, una volta ricavato il vuoto al suo interno, è riempito con uno o più gas rari (argon, neon o kripton) e con il vapore di mercurio a bassa pressione.  Gli elettrodi del tipo a caldo sono sottoposti a riscaldamento prima della scarica con un apposito dispositivo chiamato starter. Il gas raro ha funzione di favorire l’accensione: esso è in grado di condurre elettricità a freddo. Dopo le prime scariche iniziali, si instaura l’arco elettrico attraverso il vapore di mercurio ; l’emissione del vapore a bassa pressione  è costituita da radiazioni ultraviolette UV-C. le polveri fluorescenti rivestono la parete interna del tubo.

LAMPADE FLUORESCENTI COMPATTE, Sono lampade che abbinano ai bassi consumi di energia elettrica, le prerogative delle dimensioni ridotte, della compattezza e della versatilità d’uso. 

Possono essere : – compatte non integrate: alla base in corrispondenza dell’attacco, sono alloggiati lo starter e il  condensatore di rifasamento per il funzionamento con un alimentatore elettromagnetico esterno.  Esistono le versioni per l’alimentazione elettronica prive dello starter e del condensatore. In questo caso è possibile regolare il flusso luminoso dal 10% al 100%. Si producono alimentatori forniti di portalampada e di attacco a vite per l’adattamento con portalampada con attacco E27. Durata media 12.000 ore Temperatura di colore (K) 2700-4000 k Resa dei colori 82 Efficienza luminosa 57-70 lm/W;          – compatte integrate: in cui tutti i dispositivi sono incorporati alla base della lampada ed hanno attacco a vite E27 ed E14, hanno ingombri paragonabili a quelli delle vecchie lampade a incandescenza ma con prestazioni nettamente superiori. Durata media 10.000 ore, Temperatura di colore (K) 2700 k, Resa dei colori 82, Efficienza luminosa 50-65 lm/W

ATTACCHI, Ogni lampada è provvista di un elemento elettromeccanico che è l’attacco; l’identificazione del quale influenza necessariamente la scelta del portalampada e viceversa. La classificazione degli attacchi è internazionale ed è basata su sigle alfanumeriche  come ad esempio i famosi E27 ed  E14.  La prima lettera maiuscola indica la tipologia di attacco, i più comuni sono: E = attacco a vite, Edison  (quello delle tradizionali lampade a incandescenza, ora sostituite da altre sorgenti), G = attacco a spina, B = attacco a baionetta. Il secondo carattere è un numero  che indica la lunghezza trasversale in millimetri e in base al tipo di attacco si riferisce al diametro, alla distanza tra le due spine o agli spessori dei supporti. Nei casi presi in esempio E14 sta ad indicare 14mm di diametro mentre E27 specifica 27 mm di diametro.  Eventualmente presente un terzo carattere con una lettera minuscola, questo informa sul contatto elettrico. Ecco degli esempi di attacchi, per lampade a incandescenza (E14,E27,E40,B15d), a ciclo di alogeni (ER7s, Fa4,G53,G13), a fluorescenza (G5, G13, G24d-1), a vapori di alogenuri metallici (G12):

Riscaldamento a pavimento

Articolo redatto da Arch. F. Di Mario per Eudomia Mag

Con il freddo, torna alla mente un problema comune per molte abitazioni: avere un riscaldamento uniforme in tutto l’appartamento.

Nella maggior parte dei casi, gli edifici sono dotati di un sistema di riscaldamento affidato ai tradizionali radiatori, spesso chiamati “termosifoni”, che diffondono il calore grazie alla convezione; ma così facendo si scaldano le stanze da un’altezza di 20 cm circa in su, tenendo sempre al freddo il pavimento.

Per ovviare a questa problematica negli anni passati si sono diffusi molto i pavimenti in parquet.

Con il riscaldamento a pannelli radianti, invece, il calore viene ceduto per irraggiamento, così da mantenere il pavimento ad una adeguata temperatura ed evitare il formarsi di correnti d’aria calda e fredda.

Le tubazioni dove circola acqua a bassa temperatura, riscaldano il pavimento in modo graduale, diffondendo calore omogeneo dal basso verso l’alto, che a sua volta riscalda l’ambiente, creando benessere termico, una temperatura uniforme e consentendo anche di camminare scalzi.

Negli anni 50 e 60 era stato già fatto un tentativo per introdurre il riscaldamento a pavimento, ma fu abbandonato poiché causava problemi di gonfiore alle gambe per via delle temperature troppo elevate che raggiungeva. Oggi questa problematica è stata risolta, grazie all’utilizzo di nuovi materiali e tecnologie.

Ovviamente un impianto di riscaldamento (o di raffrescamento) va scelto in base alle necessità dell’utente ed alle caratteristiche del luogo in cui andrà installato, perciò vediamo di cosa si tratta e quali siano vantaggi e svantaggi.

COS’E’ E COME FUNZIONA

Negli impianti ad acqua a circuito chiuso, il funzionamento è permesso da una serpentina di tubi posizionata sotto il pavimento e sopra dei pannelli isolanti, in modo tale da non disperdere il calore nella zona inferiore, ma propagarlo dal basso verso l’alto ottimizzando così il rendimento termico.

Questi tubi lavorano ad un temperatura di 30°-40° (in genere i radiatori hanno una temperatura di 70°-80°) e sono collegati alla caldaia che riscalda il fluido.

Oltre alla convenzionale caldaia ci sono diversi modi per alimentare il sistema di serpentine, come ad esempio la caldaia a pallet, la pompa di calore o i pannelli solari ad accumulo.

Ovviamente i materiali impiegati per le serpentine e per il massetto che le ricopre devono garantire prestazioni elevate. Spesso viene utilizzato il polietilene espanso per garantire una omogenea distribuzione del calore ed una elevata resistenza termica.

Se si utilizza un isolante in polistirolo sagomato, i tubi in cui passerà l’acqua si incastreranno permettendo una installazione più rapida. Invece per avere un miglior isolamento acustico del solaio, si può utilizzare anche l’isolamento in sughero su cui fissare i tubi con delle clips.

 Il massetto in cemento, invece,  deve avere uno spessore minimo di 30 mm, contenere una rete metallica contro il ritiro ed essere separato dalle pareti perimetrali di almeno 5 mm. È questo un elemento fondamentale perché minore è lo spessore del massetto, prima il calore raggiungerà l’ambiente da riscaldare.

È importante anche studiare il percorso che i tubi devono fare all’interno del pavimento, per non creare aree più calde e più fredde.

Questo tipo di impianto può funzionare nel migliore dei modi grazie ad alcuni accorgimenti:

– una adeguata coibentazione dell’edificio

– non spegnere il riscaldamento quando si è fuori casa, sarebbe uno spreco.

Se per motivi lavorativi si è assenti dall’abitazione per lungo tempo, questa probabilmente non è la tipologia giusta di impianto.

– utilizzare un dispositivo di riscaldamento che lavori a bassi regimi di temperatura, come la caldaia a condensazione, la pompa di calore o i pannelli solari

– disporre di un termostato in ogni stanza

– non tenere una temperatura troppo elevata negli ambienti

VANTAGGI  E SVANTAGGI

VANTAGGI

– il pavimento radiante ha una minima dispersione termica

– il riscaldamento è costante in tutto l’ambiente, a differenze dei riscaldamenti con radiatori che concentrano il calore vicino alla zona di emissione

– può funzionare al meglio con basse temperature dell’acqua come 25°-40°C, a differenze dei normali radiatori che arrivano a 70°C e relativo risparmio energetico

– permette di risparmiare sul combustibile

– per riscaldare l’acqua che circola nel sistema si possono utilizzare diverse fonti di energia come il gas o il solare termico.

– non fa rumore e non emette sostanze inquinanti o polveri nel’ambiente, così da ridurre l’insorgere di patologie allergiche o fastidi alle vie respiratorie.

– maggiore superficie disponibile grazie all’assenza dei termosifoni

– questa tecnologia si può adattare al raffrescamento estivo

– non necessita di particolare manutenzione

SVANTAGGI

– maggior costo di costruzione della pavimentazione

– lentezza nel portare a temperatura l’ambiente da riscaldare; perciò se si passa molto tempo fuori casa non è consigliabile.

– non possono essere utilizzati tappeti, perché diminuiscono il calore liberato nell’ambiente

PREZZI

Il prezzo di un riscaldamento a pavimento è un po’ più elevato rispetto ad altri sistemi, ma le iniziali spese possono essere ammortizzate facilmente risparmiando sui consumi energetici.

In genere il costo si aggira tra i 70 e i 110 €/mq, che comprendono la manodopera, gli oneri di progettazione, il costo dei materiali e una caldaia a condensazione. La cifra finale dipende anche dalla località e dalla presenza o meno di ditte specializzate sul luogo di installazione.

Inoltre spesso un impianto di riscaldamento a pavimento viene combinato con altri sistemi come i collettori solari, raggiungendo così un costo di circa 24.000 euro.

Ma oltre al risparmio sul consumo, è importante considerare che per le ristrutturazioni energetiche ci sono gli incentivi da parte dello Stato.

RAFFRESCAMENTO ESTIVO

L’impianto radiante a pavimento può essere utilizzato anche per il raffrescamento estivo. Questo perché l’impianto agisce sulle superfici senza generare movimenti d’aria, perciò portando l’acqua a una temperatura compresa tra i 15° e i 18°C è possibile raggiungere una condizione interna di 23-24°C nella stagione estiva.

Titoli abilitativi

Articolo redatto da Arch. F.Di Mario per Eudomia Mag

ATTIVITA’ EDILIZIA

Dal 30 Giugno 2017 sono in vigore, in tutti i Comuni, i nuovi modelli unici per l’edilizia.

Il Governo, infatti, ha adottato una serie di decreti per la semplificazione dei rapporti tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione.

Tra questi i Decreti “Scia 1” (D.lgs. 126/2016) e Scia 2 (Dlgs 222/2016) con cui sono state decise l’adozione di moduli unici per la presentazione delle istanze, validi su tutto il territorio nazionale, e la riduzione delle procedure edilizie da sette a cinque: attività edilizia libera, Comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila), Segnalazione certificata di inizio attività (Scia), Permesso di Costruire e Scia alternativa al Permesso di Costruire. Sono quindi scomparse la Dia e la Cil.

Inoltre non è più necessario richiedere il Certificato di Agibilità a fine lavori, bensì è sufficiente  presentare una Segnalazione Certificata (Scia) in autocertificazione e l’immobile è immediatamente fruibile.

TIPOLOGIE DI INTERVENTI EDILIZI

۰La Legge 457/’78 e il Testo Unico dell’Edilizia DPR 380/2001 definirono quali fossero gli interventi edilizi e li suddivisero in:

manutenzione ordinaria:

Riparazione, rinnovamento, sostituzione delle finiture, integrare impianti tecnologici esistenti, installare pannelli solari/fotovoltaici, eliminazione delle barriere architettoniche

manutenzione straordinaria:

frazionamento o accorpamento, rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici (senza alterarne i volumi e per interventi che non comportino modifiche alle destinazioni d’uso)

restauro e risanamento conservativo:

interventi volti a conservare l’organismo edilizio, consolidamento, ripristino, rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio

ristrutturazione edilizia:

insieme di opere che possano portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, ripristino/sostituzione di elementi costitutivi, demolizione/ricostruzione con la stessa volumetria.

nuova costruzione:

per manufatti edilizi realizzati entro terra o fuori terra, ampliamenti, urbanizzazione primaria e secondaria, installazione di manufatti leggeri/ prefabbricati utilizzati in modo stabile

ristrutturazione urbanistica:

sostituire l’esistente tessuto edilizio con altro diverso.

DALLA LICENZA EDILIZIA AL PERMESSO DI COSTRUIRE

۰La Legge 1150/’42 introdusse la Licenza Edilizia, secondo la quale il Sindaco autorizzava il proprietario per nuove costruzioni, ampliamenti e modifiche strutturali. Tale Licenza era concessa soltanto per aree dotate di urbanizzazione primaria o nel caso in cui il richiedente si impegnasse a realizzarle. L’avvio dei lavori doveva essere effettuato entro 1 anno e non era indicato un termine per la fine lavori.

۰Con la Legge 10/’77 (chiamata Legge Bucalossi) la Licenza Edilizia fu sostituita dalla Concessione Edilizia che scisse la facoltà di costruire dal diritto di proprietà. Lo “ius aedificandi” divenne quindi oggetto di concessione da parte della Pubblica Amministrazione.

Tale Concessione era per lo più onerosa , tranne per i casi di edilizia convenzionata (ridotta) o per interventi da realizzarsi in zone agricole (gratuita).

L’inizio dei lavori doveva essere effettuato entro 1 anno dall’acquisizione della stessa e la fine dei lavori entro 3 anni.

Inoltre la legge 10/’77 stabilì che tutta l’attività edilizia, esclusa la manutenzione ordinaria, fosse subordinata ad un atto di assenso da parte del Sindaco.

۰L’anno successivo, per rispondere alle lungaggini burocratiche derivanti dalla Legge 10/’77, la L. 457/’78 istituì l’Autorizzazione Edilizia rilasciata in regime di Silenzio-Assenso entro 90 giorni per interventi di manutenzione straordinaria, ampliamento, restauro e risanamento conservativo.  Dunque tale legge creò una demarcazione tra “opere edilizie maggiori” e “opere edilizie minori”

Col T.U. DPR 380/2001 l’Autorizzazione Edilizia divenne Permesso di Costruire oneroso, ridotto o gratuito a seconda dei casi.

DECRETO SCIA 2 (D.Lgs 222/2016)

Il decreto SCIA 2, in attuazione della legge delega 124/2015, introduce importanti semplificazioni in materia edilizia.

Tra le principali novità:

  • il riassetto dei titoli edilizi
  • l’ampliamento degli interventi in edilizia libera
  • individuate nuove attività rientranti nell’ambito della SCIA
  • l’introduzione della tabella unica nazionale con tipologia di intervento e corretto titolo abilitativo
  • la segnalazione certificata di agibilità al posto del certificato di agibilità

PERMESSO DI COSTRUIRE – oneroso

L’inizio dei lavori deve aver luogo entro un anno e la fine lavori entro tre anni.  Se una parte dovesse non essere ultimata, sarà subordinata a rilascio di nuovo Permesso di Costruire o SCIA, in base all’attività da eseguire.

Elaborati richiesti: compilazione della modulistica relativa al Permesso di Costruire con autocertificazioni, attestazioni, dichiarazioni e certificazioni occorrenti per la relativa attività edilizia, asseverazione, elaborati progettuali. Obbligo di comunicazione di fine lavori con attestazione del direttore dei lavori.

Tipi di interventi che necessitano PdC oneroso:

– Interventi di nuova costruzione;

– Interventi di ristrutturazione urbanistica;

– Interventi di ristrutturazione edilizia

Esempi di attività:

– Nuova costruzione residenziale e/o ad altra destinazione d’uso; – Ampliamento di edifici e/o di volumi; – Demolizione e ricostruzione con sagoma e volume differente; – Installazione di casa mobile ancorata al suolo, eccetto strutture ricettive; – Sopraelevazione; – Recupero di sottotetto ad uso abitativo in zona A

PERMESSO DI COSTRUIRE – non oneroso

Elaborati richiesti: compilazione della modulistica relativa al Permesso di Costruire con autocertificazioni, attestazioni, dichiarazioni e certificazioni occorrenti per la relativa attività edilizia, asseverazione, elaborati progettuali. Obbligo di comunicazione di fine lavori con attestazione del direttore dei lavori.

Tipi di interventi che necessitano PdC non oneroso:

– Interventi di nuova costruzione, da realizzare nelle zone agricole o a seguito di calamità naturali

– Interventi di ristrutturazione e ampliamento, non superiore al 20% di edifici unifamiliari;

– nuovi impianti, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, al risparmio, all’uso razionale dell’energia.

Esempi di attività:

– Realizzazione da parte di soggetti diversi dal comune, di urbanizzazioni pri­marie e secondarie; – Interventi di ristrutturazione edilizia; – Ampliamento edilizio < del 20% di edifici unifamiliari; – Interventi edilizi su fondi agricoli; – Realizzazione di impianti per fonti rinnovabili di energia.

SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) – onerosa

Elaborati richiesti: compilazione della modulistica relativa alla segnalazione certificata di inizio attività con autocertificazioni, attestazioni, dichiarazioni e certificazioni occorrenti per la relativa attività edilizia, autocertificazione requisiti igienico-sanitari, asseverazione sui lavori da realizzare, elaborati progettuali. Comunicazione di fine lavori con attestazione del direttore dei lavori.

Tipi di interventi:

– interventi di ristrutturazione edilizia, che portino ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche alla volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti

– interventi di nuova costruzione, se disciplinati da Piani Attuativi

Esempi di attività:

– ristrutturazione edilizia con aumento di volumetria

– recupero sottotetto ad uso abitativo

– ampliamento in regime di piano Casa

SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) – gratuita

Elaborati richiesti: compilazione della modulistica relativa alla segnalazione certificata di inizio attività con autocertificazioni, attestazioni, dichiarazioni e certificazioni occorrenti per la relativa attività edilizia, autocertificazione requisiti igienico-sanitari, asseverazione sui lavori da realizzare, elaborati progettuali. Comunicazione di fine lavori con attestazione del direttore dei lavori.

Tipi di interventi:

– Manutenzione straordinaria, che riguardi anche parti strutturali dell’edificio

– restauro e risanamento conservativo, che riguardi anche parti strutturali dell’edificio

– ristrutturazione edilizia, senza aumento di volume o superficie

– varianti a permessi di costruire

Esempi di attività:

– realizzazione di volumi tecnici, vespai, vetrate perimetrali, solaio in legno o cemento, rampa esterna

– adeguamento antisisimico

– restauro di edificio vincolato

– consolidamento fondazioni

– garage pertinenziali

CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata)

Elaborati richiesti: compilazione della comunicazione di inizio lavori con elaborati grafici, stato di fatto, di progetto e raffronti, relazione tecnica che assevera che l’intervento è conforme agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti. Comunicazione di fine lavori con attestazione del direttore dei lavori e presentazione della documentazione catastale.

Tipi di interventi:

– interventi di manutenzione straordinaria, per rinnovare e sostituire parti degli edifici

– interventi di restauro e risanamento conservativo, che non interessino parti strutturali

Esempi di attività:

– Apertura di porte interne o spostamento di pareti interne

– Realizzazione di nuovo bagno, cabina armadio, ripostiglio, ecc.;
– Frazionamenti o accorpamenti di unità immobiliari diverse;

CIL (Comunicazione di Inizio Lavori)

Elaborati richiesti: comunicazione telematica di inizio lavori

Tipi di interventi: opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e comunque entro un termine non superiore a 90 giorni.

ATTIVITA’ EDILIZIA LIBERA

L’attività edilizia libera, senza obblighi di comunicazione può essere effettuata per i seguenti interventi:

– manutenzione ordinaria (riparazione, rinnovamento, sostituzione delle finiture degli edifici, opere per mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti)

– eliminazione delle barriere architettoniche, che non comportino la realizzazione di rampe

– serre mobili stagionali, sprovviste di struttura in muratura

– opere di pavimentazione e finitura di spazi esterni

– pannelli fotovoltaici, solari

RIEPILOGO  TEMPORALE

Prima del Testo Unico dell’Edilizia, i titoli abilitativi presenti erano:

– Concessione Edilizia Onerosa, per opere edilizie maggiori

– Autorizzazione Edilizia (rilasciata in regime di Silenzio-assenso) per opere minori

– DIA gratuita

Dopo il 2001 i titoli abilitativi presenti erano invece:

– DIA (Dichiarazione di inizio Attività)

– Permesso di Costruire

– Dia in alternativa al Permesso di Costruire

Nel 2010 furono introdotti anche:

– CIL (Comunicazione Inizio Lavori)

-CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata)

-SCIA, (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) in sostituzione della DIA 

Col  D.lgs. 126/2016 e D.Lgs 222/2016 i titoli abilitativi attualmente sono:

– CIL (Comunicazione Inizio Lavori)

– CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata)

– SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività)

– Permesso di Costruire

Cemento fotocatalitico

articolo a cura di Arch. F. Di Mario, redatto per Eudomia Mag

Il cemento fotocatalitico, spesso chiamato “asfalto mangia smog” fu inventato e brevettato nel 1996 da Luigi Cassar, direttore centrale del settore ricerca e sviluppo di Italcementi.

Questo cemento può ridurre le emissioni inquinanti dovute agli autoveicoli che transitano sulla strada per la quale è utilizzato, infatti tramite una prova realizzata a Segrate, si è constatato che tale innovazione ha fatto svanire il 60% degli ossidi di azoto presenti nell’atmosfera.

Dunque un chilometro quadrato di questo tipo di cemento riuscirebbe ad assorbire ogni anno ben 30 mila tonnellate di ossido di azoto.

Una superficie di un chilometro quadrato, considerando che ogni auto emette tra i 0,4 e i 0,5 grammi di ossido di azoto, potrebbe eliminare i problemi dovuti ai gas di scarico prodotti da almeno 7000 auto medie.

Oltre che per le strade, tale tecnica può essere utilizzata anche nella realizzazione di facciate.

Questo vuol dire che, se una città come Milano lo usasse per rifare il 15% delle sue facciate, ridurrebbe l’inquinamento nell’aria della metà.

Purtroppo, però, i costi di tale materiale sono ancora molto elevati, circa 1100 euro alla tonnellata.

Arrivare a questo tipo di materiale è stata una conseguenza di numerosi sudi basati sulla necessità di  mantenere il cemento pulito, senza le macchie causate negli anni dall’inquinamento dell’aria.

Inizialmente si tentava di proteggere le superfici di cemento con strati di silicone idrorepellente, ma anch’essi col tempo si usuravano.

Così Cassar ha studiato le proprietà autopulenti del cemento, concentrandosi sul processo secondo il quale l’energia del sole riesce a scomporre le sostanze nocive prima ancora di attaccare la superficie dell’oggetto.

Il fatto che l’ossidazione delle superfici riduca anche gli inquinanti dell’aria circostante, è stata una scoperta successiva, così nel 1996 il team è arrivato alla giusta miscela di cemento e biossido di titanio.

Dunque  l’azione combinata della luce e del principio attivo decompone gli agenti inquinanti prodotti dall’attività umana (fabbriche, traffico, riscaldamento domestico) restituendo una qualità dell’aria migliore.

Studi di laboratorio hanno dimostrato che le superfici fotocatalitiche sono in grado di decomporre i microrganismi che intaccherebbero le stesse, inibire il deposito e la proliferazione di alghe e prevenire il conseguente deterioramento del materiale.

COME FUNZIONA

La fotocatalisi è un processo naturale per cui, grazie all’azione della luce, una sostanza fotocatalizzatrice accelera i processi di ossidazione già esistenti in natura e favorisce una più rapida decomposizione degli inquinanti, evitandone l’accumulo e l’adesione in superficie .

Il biossido di titanio, infatti, ha la capacità, in presenza di luce, di ossidare sostanze organiche e inorganiche scomponendole per poi trasformarle in nitrati e carbonati.

Tecnicamente è sbagliato dire, come molti fanno, che questo tipo di cemento “mangi lo smog” poiché la fotocatalisi avviene sulla superficie del cemento e non internamente ad esso.

Il fatto che il materiale abbia una bassa porosità e sia idrorepellente, fa sì che la pioggia riesca a lavarlo facendo scivolare queste impurità. Oltretutto le proprietà appena elencate lo rendono un materiale dal buon impatto estetico.

Inoltre  questo innovativo cemento è efficace non solo con l’ossido di azoto, ma anche con altri composti potenzialmente nocivi per la salute come l’anidride solforosa, l’ossido di carbonio e la formaldeide.

APPLICAZIONI

In America è stato realizzato un esperimento su un tratto di due miglia che collega Cermak Road e Blue Avenue, una delle strade più trafficate e con il numero maggiore di industrie, quindi con un’aria molto inquinata.

In Europa  una porzione di un tunnel di Bruxelles è stata trattata con questo materiale.

In Italia sono stati fatti test sulle strade di Segrate, con il risultato che la malta, stesa su mezzo km di carreggiata, ha ridotto del 60% gli ossidi di azoto presenti nell’atmosfera.

Sempre in Italia abbiamo avuto altri edifici realizzati utilizzando questa nuova tecnica.

Per l’Expo 2015 lo studio Nemesi & Partners ha progettato “Palazzo Italia”, una struttura complessa che richiamava nel suo aspetto esteriore e in alcuni spazi interni le forme di una foresta ramificata.

La facciata è stata realizzata con il cemento biodinamico “i.active BIODYNAMIC” in cui il principio attivo presente nel materiale consente di “catturare” alcuni inquinanti presenti nell’aria, trasformandoli in sali inerti e contribuendo così a liberare l’atmosfera dallo smog.  La malta, inoltre, prevede l’utilizzo per l’80% di aggregati riciclati, in parte provenienti dagli sfridi di lavorazione del marmo di Carrara, cosa che conferisce una brillanza superiore a quella dei cementi bianchi tradizionali.

La “dinamicità  è un’altra caratteristica del nuovo materiale, che presenta una lavorabilità tale da consentire la realizzazione di forme complesse.

Grazie alla sua particolare fluidità, questo cemento può penetrare facilmente nei casseri garantendo sempre una buona qualità superficiale.

La sua bassa porosità superficiale rispetto agli altri materiali cementizi lo fa apparire diverso in termini di liscezza e lucentezza.

E’ inoltre più resistente alla compressione e alla flessione.

Un progetto realizzato ma probabilmente meno riuscito è quello della chiesa Dives in Misericordia, la cattedrale del Giubileo con le tre grandi vele bianche, costruita a Roma da Richard Meier. Il cemento bianco che ricopre l’intera opera è il TX Millennium al titanio, anch’esso dotato di cellule dall’azione fotocatalitica.

Purtroppo l’iniziale biancore delle vele, garantito da Italcementi tramite un materiale inerte, autopulente e mescolato al marmo di Carrara, ad oggi risulta molto compromesso.

Ovviamente quelli citati sono alcuni progetti pilota, auspichiamo che questa tecnica possa essere  sviluppata al meglio e riesca effettivamente a diffondersi, apportando dei benefici.